Black Friday: per gli italiani i prezzi vengono gonfiati prima

Revolut ha condotto un’indagine insieme alla società di ricerche Dynata per scoprire i programmi di spesa degli italiani in occasione del Black Friday. Ma il 64% degli italiani pensa che i marchi gonfino i prezzi prima del Black Friday, in modo che i consumatori credano di aver fatto un affare. Il 37% pensa che sia necessario vigilare maggiormente su certe pratiche, mentre il 28% ritiene che questa dinamica faccia comunque parte del gioco. Gli italiani tra 18 e 44 anni sono quelli che più identificano queste pratiche fraudolente (74%), mentre la metà degli over 65 anni afferma di non rilevare aumenti di prezzo. Da quest’anno però non sarà più così facile gonfiare i prezzi, poiché con l’entrata in vigore della direttiva Omnibus negozi e marchi saranno obbligati a indicare chiaramente il prezzo più basso applicato ai prodotti nei trenta giorni precedenti. 

Il timore più grande? Trovare lo stesso prodotto a un prezzo inferiore dopo averlo acquistato

Il timore più grande degli italiani per lo shopping online del Black Friday è legato alla possibilità di trovare lo stesso prodotto a un prezzo inferiore successivamente (21%, e 32% tra i GenZ), seguito dalla paura del furto dei dettagli della carta (18%). Ma nonostante il crescente costo della vita, solo il 7% degli intervistati teme di spendere troppo durante questo Black Friday. L’8% teme invece di acquistare il prodotto sbagliato, e un terzo del campione afferma di non avere alcun timore nel fare acquisti online.

Sconto: che sia almeno del 30%

L’80% degli italiani effettuerà acquisti in occasione del Black Friday, ma il 30% li farà solo se riuscirà a trovare buoni affari, e l’11% afferma di avere un budget limitato, per cui lo shopping sarà contenuto. Il 36% degli intervistati si ritiene soddisfatto di uno sconto del 30-40%, ma 4 italiani su 10 non faranno acquisti se gli sconti non toccheranno almeno il 40-50%. Nel complesso, gli italiani preferiscono comprare solo quello che possono permettersi, in base al denaro che hanno sul proprio conto (62%). La pensano in questo modo più le donne rispetto agli uomini (65% vs 59%), più propensi a considerare di utilizzare la propria carta di credito nel caso in cui trovassero un buon affare (21% vs 15%).

C’è chi risparmia durante l’anno 

Il 15% della GenZ e dei Millennial, riferisce Adnkronos, afferma invece di aver messo da parte il denaro in un conto di risparmio separato per assicurarsi di avere un budget sufficiente a finanziare gli acquisti del Black Friday. Funzionalità come i salvadanai di Revolut sono particolarmente utili per queste necessità: gli utenti possono mettere da parte ogni settimana o mese la cifra che preferiscono in modo automatico e raggiungere facilmente i propri obiettivi di risparmio.  Per quanto riguarda le categorie di spesa, l’elettronica è quella più gettonata dagli uomini (71%) mentre le donne preferiscono rinnovare il guardaroba (57%). Seguono, arredamento/home decor, viaggi e beauty.

Open Banking: il profilo dei consumatori digitali italiani

CRIF ha realizzato un Market Outlook sul fenomeno dell’Open Banking in Italia. Pur presentando un mercato meno sviluppato e di dimensioni più modeste rispetto ad altri Paesi europei, nel primo semestre 2022 in Italia si registra un incremento di oltre il 20% rispetto al 2021, sia per quanto riguarda il consenso all’accesso ai conti sia il successo del processo di Access2Account. Un’evoluzione culturale che vede il consumatore digitale italiano acquisire più fiducia e dimestichezza con i processi della PSD2. I principali ostacoli da sormontare rimangono di natura culturale, tecnologica e commerciale. Di recente, però, le banche hanno intrapreso delle iniziative per sfruttare a pieno le potenzialità di questo mercato.

Oltre il 30% appartiene alla categoria New to Credit

L’utilizzo dell’Open Banking è più diffuso tra gli uomini (76%), rispetto alle donne (24%), mentre in termini di provenienza geografica circa il 13% degli utenti corrisponde a un profilo New to Country, utenti che non sono nati in Italia ma che vi hanno stabilito la propria residenza. Inoltre, più del 30% dei fruitori appartiene alla categoria New to Credit, ossia privi di una storia creditizia.
“Tale dato dimostra come questa tecnologia possa aumentare l’inclusione finanziaria, raccogliendo dati anche su profili che non possono affidarsi a un tracking creditizio pregresso”, spiega Elena Mazzotti, Head of Innovation & Strategy di CRIF.
Inoltre, circa il 70% di chi ha condiviso i propri dati di conto risulta percepire un reddito regolare e continuativo con un importo medio di circa 1.300 euro.

Il calcolo della sostenibilità del debito

In merito alle uscite, mediamente il 28% del reddito è utilizzato per affitti, il 23% per rimborsi finanziari (mutui o prestiti), l’11% per spese assicurative. Le transazioni effettuate in Food and Daily Spending sono poi le più frequenti per tutte le fasce d’età, mentre quelle relative a Hobby e tempo libero sono più comuni tra i giovani, e quelle categorizzate come Prestiti, tendenzialmente più presenti sui conti di soggetti più anziani. Queste osservazioni dimostrano come l’Open Banking possa rivoluzionare anche il calcolo della sostenibilità del debito, automatizzando il processo, neutralizzando eventuali tentativi di contraffazione di documenti reddituali e includendo evidenze su rendite non facilmente documentabili.

Il fabbisogno di credito 

Quanto al fabbisogno di credito, CRIF ha realizzato un’analisi basata su kpi e analytics proprietari, attraverso la quale è possibile individuare cluster di clientela che nel breve saranno più inclini a ricorrere a forme creditizie.
Si nota un incremento nel lending rate (propensione all’acquisto di un prodotto di credito nei successivi 6 mesi) per diversi segmenti, tra cui è possibile rintracciare clienti con alte spese per attività sportive o wellness, clienti pluri-assicurati, clienti con alte spese per vestiario, clientela con profilo digital e altre categorie, che registrano comunque un incremento del lending rate superiore al 10%.

Inflazione: le donne la “sentono” più degli uomini

Esiste un ‘gender gap’ anche per l’inflazione: le donne la percepiscono di più rispetto agli uomini, e hanno aspettative sulla sua crescita più alte, con ricadute dirette sulle abitudini di spesa.
Secondo uno studio realizzato da tre economisti della Banca centrale europea, la differenza nella percezione dell’inflazione tra donne e uomini è ‘abbastanza sostanziosa’. La causa principale è che le donne pongono maggiore enfasi sull’aumento percepito dei prezzi del cibo, settore che pesa più di altri sulle aspettative generali. Lo studio esamina i dati dell’ultimo sondaggio di agosto sulle aspettative dei consumatori, il Consumer Expectations Survey, o CES, dai quali emerge che le aspettative di donne e uomini divergono di quasi un punto percentuale.

Un atteggiamento diverso di fronte al futuro

La seconda ragione è un atteggiamento diverso di fronte al futuro: “Gli uomini sono più fiduciosi circa le loro aspettative”, spiegano gli esperti della Bce, mentre le donne sono più negative sull’andamento dell’economia, più incerte sulle prospettive e tendono ad arrotondare le stime al rialzo. Gli uomini poi non danno molto peso al cibo, preoccupandosi invece per il costo dei trasporti, dei vestiti e delle case. Una differenza che potrebbe riflettere “la diversa divisione dei compiti di casa tra uomini e donne”. Anche perché questa distinzione non esiste nei single. Nel campione che compone il sondaggio della Bce, di età tra i 35 e i 49 anni, la percezione dell’inflazione nei diversi settori è identica per entrambi i sessi: solo nelle coppie ci sono differenze.

Le aspettative su prezzi del cibo, immobiliare, vestiti e trasporti 

Gli economisti stimano che quel punto percentuale maggiore nella percezione delle donne aumenti le loro aspettative sui prezzi del cibo di 0,40 punti. La percezione degli uomini, invece, ha un impatto di appena 0,26 punti. I numeri si ribaltano quando si guarda agli altri settori, perché sono parecchi quelli su cui gli uomini hanno aspettative maggiori delle donne. Accade sulla sanità (0,12 punti percentuali rispetto ai 0,11 delle donne), sull’immobiliare (0,11 contro 0,08), sui vestiti (0,12 contro 0,07) e sui trasporti (0,07 contro 0,02).

“Le percezioni influenzano i comportamenti dei consumatori”

Scorporare i dati dei sondaggi in base al sesso, sottolinea il blog della Bce, è molto importante per il futuro della politica monetaria. “Le percezioni influenzano i comportamenti in una miriade di modi”, spiegano gli economisti come riporta Ansa. Ad esempio, da questi ultimi dati si evince che “le donne potrebbero essere meno disposte a cancellare, rinviare o ridurre le proprie vacanze quando i prezzi dell’energia salgono, o potrebbero essere meno influenzate dai prezzi quando devono comprare un’auto”, con evidenti ricadute sulla domanda aggregata. Per i banchieri centrali è importante capire come i consumatori formano e aggiornano le loro aspettative di inflazione, poiché “aiuta a identificare quale tipo di inflazione è importante per i consumatori”, e “migliora l’analisi delle implicazioni macroeconomiche delle decisioni di politica monetaria”.

Talenti cercasi: 3 aziende su 4 non trovano profili ricercati

Secondo una ricerca internazionale ripresa dal World Economic Forum, 3 aziende su 4 non riescono a trovare i profili ricercati, una percentuale in netta crescita negli ultimi anni: +120% rispetto a 10 anni fa e +8,7% sul 2021.  Un fenomeno che coinvolge anche l’Italia, dove la percentuale complessiva è di poco inferiore alla media globale: una minaccia che può mettere un freno alla crescita economica. Secondo il recente report Upwork’s Future Workforce, il 70% delle organizzazioni ha previsto un aumento del personale entro i prossimi sei mesi, a patto che si riescano a trovare i profili specializzati. In questo senso, gli ambiti di lavoro dove è più difficile scovare i talenti sono Information Technology, sales & marketing, manufatturiero e front office.

Nuove sfide per le aziende: Talent Shortage e Skill Shortage

Le aziende si trovano costrette quindi ad affrontare nuove sfide nello scenario globale post-pandemico: il Talent Shortage e lo Skill Shortage, ovvero, la mancanza di competenze tecniche e personali adatte a ricoprire una nuova posizione lavorativa. La ricerca The skillful corporation, redatta da McKinsey, ha messo in evidenza come oggi il 43% delle aziende lamenti carenze di competenze all’interno della propria forza lavoro. Percentuale che sale all’87% se si dilata l’arco temporale fino ai prossimi 5 anni. Non sorprende che per il 53% delle organizzazioni l’azione più utile da intraprendere sia quella di reskillare i dipendenti, seguito dall’assunzione di nuove risorse (20%) e la ridistribuzione della forza lavoro con nuovi incarichi e posizioni (20%).

Le 5 top soft skill più ricercate dagli headhunter

Secondo gli esperti di ricerca e selezione del personale di Zeta Service attualmente le prime 2 del le 5 top soft skill più ricercate dagli headhunter sono Smart Teamworker, ovvero la capacità di collaborare per portare a termine un progetto anche da remoto, e il Time Management. Riuscire a definire in anticipo gli obiettivi, focalizzando il lavoro verso attività definite e in grado di portare risultati, aiuterà la risorsa a ottimizzare il lavoro.

Adaptability, Critical Thinking, Knowledge Management

Seguono l’Adaptability (sapersi adattare a contesti lavorativi mutevoli, essere aperti alle novità, a nuovi incarichi ed essere disponibili a collaborare con persone con punti di vista anche diversi dal proprio), il Critical Thinking (riuscire a trasmettere le criticità attuali in modo chiaro, accurato e preciso, e saper trovare una soluzione alle criticità che si stanno incontrando), e il Knowledge Management, l’abilità nell’acquisire, organizzare e riadattare dati e informazioni provenienti da fonti diversi.
I lavoratori che hanno queste soft skills sanno analizzare le problematiche per poter ricercare le informazioni necessarie a risolvere le necessità e organizzarle e condividerle in base alle priorità.

Vacanze estate 2022: quali sono le strategie per difendersi dall’aumento dei prezzi?

Per comprendere le scelte di viaggio e vacanza degli italiani, dal 2017 Ipsos conduce lo studio Future4Tourism. Ma quali sono le evidenze dell’ultima rilevazione?  Nonostante il Covid, che nel corso delle ultime settimane ha visto un’impennata del numero dei contagi, il protrarsi della guerra in Ucraina e il vertiginoso aumento dei prezzi, la voglia di viaggiare degli italiani si conferma forte, ed è in crescita rispetto al passato. Non rispetto ai 2 anni appena trascorsi, caratterizzati dalle restrizioni dovute alla pandemia, ma rispetto al passato pre-Covid, che per i mesi estivi raggiungeva quote di viaggiatori già rilevanti e che per l’estate 2022 si accrescono ulteriormente.

Oltre il 70% ha intenzione di viaggiare

Tra luglio e settembre 2022 il 75% degli italiani dichiara di aver intenzione di viaggiare, un dato in crescita di 3 punti percentuali rispetto all’estate 2019. Una crescita legata soprattutto all’incremento delle vacanze brevi-long week-end, mentre le vacanze di media-lunga durata, seppur in importante recupero rispetto all’estate 2020 e 2021, rimangono allineate ai periodi pre-pandemici.  L’alta propensione alle vacanze per l’estate 2022 non può però essere data per scontata, in quanto il contesto generale crea diversi e molteplici timori agli italiani. Ma le preoccupazioni per la guerra Russia-Ucraina sono diminuite rispetto alle prime fasi del conflitto, generando un ridimensionamento anche del loro impatto prospettico sulle vacanze estive 2022.

L’aumento dei prezzi si ripercuote sulle vacanze

Lo stesso non può dirsi per l’inflazione e l’aumento dei prezzi che rischiano di avere particolari ripercussioni sulle vacanze estive. In particolare, gli italiani affermano di non rinunciare a viaggi e vacanze, ma di contenere la spesa prevista. In prospettive, le strategie che gli italiani attueranno per difendersi dall’aumento dei prezzi relativamente alle loro vacanze estive saranno riduzione dello shopping, diminuzione dei giorni di vacanza, scelta di periodi meno costosi e riduzione della frequentazione di bar e ristoranti. Subisce un impatto minore il tipo di sistemazione, ma l’analisi dei comportamenti consente di affermare che è in atto una modifica delle scelte dei viaggiatori tra sistemazioni di tipo alberghiero (Hotel, agriturismo, B&B) a favore di sistemazioni di tipo privato (case e appartamenti).

L’Italia vince sulle mete europee ed extra-europee

Per quanto riguarda le destinazioni scelte per le vacanze estive 2022 siamo ancora lontani dalla situazione pre-pandemia. Si continua a rimanere in Italia più di quanto si facesse in passato. In lieve ripresa le mete europee, mentre i viaggi di lungo-raggio/extra-Europa rimangono ancora fortemente penalizzati. Relativamente al tipo di vacanza, per l’estate il mare resta la prima scelta, ma continua la buona performance delle mete montane. Una scelta nata durante la pandemia che si riconferma di anno in anno. Dunque, le vacanze per gli italiani sono davvero irrinunciabili. Le scelte sono però in continuo divenire. Monitorare e anticipare i cambiamenti della domanda appare quanto mai cruciale per costruire un’offerta che riesca a rispondere ai nuovi bisogni emergenti. Di cui spesso il consumatore-viaggiatore non è pienamente consapevole.

Surgelati: nel 2021 raggiunti 16 kg pro-capite

Nell’ultimo anno il comparto dei prodotti surgelati ha registrato un consumo complessivo pari a 941.561 tonnellate, e un nuovo record nel consumo pro-capite, salito a 16 kg contro i 15,2 kg del 2020. Determinante nella crescita il risultato ottenuto dal Retail, aumentato del +1,7% a volume, ma soprattutto dal Fuoricasa, ripartito con un incremento del +19,6% dopo il brusco crollo del 2020 (-37%). Sono alcune evidenze del Rapporto Annuale sui Consumi dei prodotti surgelati di IIAS – Istituto Italiano Alimenti Surgelati. Dal punto di vista dei consumi, i primi mesi del 2022 hanno però segnato una leggera frenata del canale Retail, peraltro attesa dopo due anni di aumenti pari a quasi +14% a volume nel periodo 2020-2021. Prosegue, inoltre, la ripresa dei consumi fuori casa, incoraggiata dagli ulteriori allentamenti delle misure restrittive.

Una crescita del +5,3%

Nel 2021, i surgelati hanno proseguito il cammino di crescita già iniziato negli anni precedenti, attestandosi su un valore di mercato tra i 4,6 e i 4,8 miliardi di euro, pari al +5,3% rispetto al 2020. A contribuire a questo risultato il mercato Retail, che ha superato le 605mila tonnellate arrivando a coprire il 66,4% del valore di mercato, e il Fuoricasa, che ha toccato 240mila tonnellate. Una ripresa però ancora lontana dai valori pre-pandemia e che necessita di essere consolidata. Si attesta su quota 96mila tonnellate il dato complessivo delle vendite e-commerce e door-to-door, che oggi rappresentano circa il 10% di tutti i consumi, con significativo incremento delle vendite online, che nel 2021 hanno continuato a crescere del +20,6% a volume e del +17,4% a valore.

Trend consumi: vegetali, ittici e patate

A confermare la leadership per volumi consumati nel Retail, pur con una lieve diminuzione rispetto al 2020 (-2%) i vegetali, con 255.400 tonnellate, soprattutto quelli preparati (+12,6%). Non estranea a questo risultato la tendenza a scegliere sempre più spesso proteine a base vegetale. Buoni risultati anche per i prodotti ittici, con 113.300 tonnellate nel Retail (+2%), le patate surgelate (fritte ed elaborate), con 85.700 tonnellate (+7,2% sul 2020), e pizze e snack (+1,8%, 92.400 tonnellate). A trainare il segmento con un +4,2% gli snack salati, mentre con 37.400 tonnellate circa, i piatti ricettati segnano l’incremento percentuale più elevato: +10,2%.

Export: continua il successo del freddo Made in Italy

Grazie agli accordi raggiunti da UIF-Unione Italiana Food, il 2021 è stato il primo anno in cui le aziende italiane di pizze surgelate operanti su tutto il territorio della Penisola hanno potuto esportare sul mercato americano anche le pizze contenenti carne suina/prodotti di salumeria: una grande opportunità per chi voglia intercettare i gusti dei consumatori statunitensi, notoriamente amanti della ‘Pepperoni Pizza’, il cui ingrediente principale è il salame piccante. Negli ultimi due anni (2021 vs 2019) l’export di pizze surgelate Made in Italy ha così segnato una crescita del +18,1% a valore e +17,7% a volume.

Ricette, gli italiani dove le trovano? La ricerca fra web e libri della tradizione

Tutti ai fornelli, appassionatamente: gli italiani si confermano degli estimatori del buon cibo, come da tradizione. E le ricette preferite sono proprio quelle di “casa”, piatti apparentemente semplici che vengono preferiti rispetto a elaborazioni complesse. Una nuova ricerca dell’Osservatorio Nestlé esplora il mondo delle ricette e svela le nuove abitudini di ricerca in un mondo che cambia velocemente ma non riesce ad eliminare l’emozione dei ricettari tramandati in famiglia. Anche se è difficile ricordare come fosse la nostra vita prima di Internet, non sempre la fonte delle ricette è la rete. Sebbene avere tutto a portata di un click ha semplificato i gesti quotidiani, come la ricerca di una ricetta, sono ancora tantissimi i nostri connazionali che si affidano ai libri e ad altre fonti. Ed è curioso scoprire pure quali siano le preparazioni preferite.

Vince la semplicità in tavola

Tra i piatti più cliccati negli ultimi 12 mesi, secondo Google Trends, vincono soprattutto quelli più semplici. Il primo posto va a quelli di pasta (in ordine, alla boscaiola, con peperoni e pasta e fagioli), al secondo posto la torta di pere, al terzo posto i pancake, al quarto le crepes, al quinto posto la pizza. Al sesto posto una ricerca curiosa: quella dei biscotti ma non quelli appetitosi come comunemente intendiamo, bensì i biscotti Squid Game di solo zucchero e bicarbonato, dalla serie tv coreana direttamente al forno. Tra le tendenze in aumento si scopre che cresce la ricerca di piatti più leggeri come il poke, il porridge e l’insalata di riso ma anche cocktail, in particolare il Sex on the Beach e il Gin Tonic, perché in vista dell’estate si trasgredisce di sera per potersi dedicare a piatti sani di giorno, o viceversa.

Dove ci si ispira?

Lo studio dell’Osservatorio Nestlé conferma che il 95% degli italiani ricorre ad almeno una fonte online e il 67% utilizza almeno un social media per cercare ispirazione per le ricette. Internet con Google guida le nostre ricerche (56%), fra i social media Youtube spicca fra tutti (46%).
Ma ad ognuno la sua (fonte): i 18-24enni (58%) e i 25-34enni (49%) si affidano soprattutto ad Instagram, la fascia 35-44 anni (58%) attinge soprattutto dai siti web o dai blog di appassionati di cucina; i 45-54enni (43%) preferiscono i tutorial su Youtube. Ed è tra gli over 55 (53%) che spicca una particolare predilezione per i ricettari di famiglia, una tradizione portata avanti nel tempo anche dopo il boom di tutte le fonti online. Ma la nostra vita prima dell’avvento dei social network non era però così priva di risorse: il 62% godeva ancora del buon odore della carta stampata prendendo spunto principalmente dai libri di cucina e il 52% anche dai ricettari di famiglia, quelli tramandati di generazione in generazione. Il 46% cercava direttamente la ricetta attraverso Internet, il 35% attraverso trasmissioni televisive dedicate e il 34% si affidava alle ricette lette sui giornali o acquistava direttamente le riviste dedicate alla cucina.

Metaverso, Realtà Virtuale e Realtà Aumentata: quanto ne sanno gli italiani?

Cosa sanno gli italiani di Metaverso, Realtà aumentata, Realtà Virtuale? E come si posizionano di fronte a questi cambiamenti tecnologici epocali? Infine, quanto conoscono queste novità? Per scoprirlo, Ipsos, in collaborazione con il World Economic Forum, ha condotto una nuova indagine sondando l’opinione dei cittadini in 29 Paesi del mondo -tra cui l’Italia- con l’obiettivo di comprendere il grado di conoscenza di questi concetti, il livello di entusiasmo per le nuove tecnologie e l’impatto che queste possano avere nella vita delle persone nel prossimo decennio. In generale, circa la metà degli intervistati dichiara di conoscere il Metaverso (52%) e di provare sentimenti positivi nei confronti dell’utilizzo della realtà estesa nella vita quotidiana (50%). Tuttavia, l’indagine evidenzia ampie differenze nella familiarità e nel consenso nei confronti di queste nuove tecnologie tra i vari Paesi e gruppi demografici.

Metaverso, conosciuto sì o no?

Negli ultimi mesi il Metaverso ha acquisto un’importanza sempre più rilevante, diventando un argomento di cui si sente parlare molto spesso. Ma si sa cos’è e come funziona nello specifico?
Il Metaverso è spesso identificato come il successore di Internet, una nuova realtà virtuale che può essere considerata come un vero e proprio mondo parallelo. Per descriverlo alcuni autori parlano di una rete composta da mondi virtuali collaborativi e immersivi, dove un numero illimitato di utenti può usare avatar per interagire, lavorare, effettuare acquisti e partecipare a varie attività. In linea generale, l’indagine internazionale di Ipsos e del World Economic Forum evidenzia ampie differenze tra i vari Paesi. Il livello di familiarità con i concetti di realtà virtuale, realtà aumentata e Metaverso è molto più alto in Turchia, India, Cina e Corea del Sud (più di due terzi dei rispondenti dichiara di conoscere le nuove tecnologie) rispetto a Polonia, Francia, Belgio, Germania e Paesi Bassi (meno di un terzo dichiara di averne familiarità). E in Italia? Il concetto di realtà virtuale è conosciuto dall’84% degli italiani, 4 punti in più rispetto alla media internazionale pari all’80%. Il 66% degli italiani dichiara di conoscere cosa si intenda per realtà aumentata, contro il 61% della media internazionale. Il Metaverso è il concetto -tra i tre esaminati- che registra la percentuale più bassa. Nonostante ciò, oltre un italiano su due (58%) afferma di conoscere di cosa si tratti, 6 punti in più rispetto alla media internazionale pari al 52%.

L’entusiasmo per le nuove tecnologie

L’indagine Ipsos-World Economic Forum rivela un entusiasmo per la realtà estesa (XR) significativamente più alto nei Paesi emergenti rispetto alla maggior parte dei Paesi ad alto reddito. In Cina, India, Perù, Arabia Saudita e Colombia oltre due terzi degli intervistati affermano di provare sentimenti positivi nei confronti delle nuove tecnologie. Al contrario, meno di un terzo dei rispondenti prova le medesime emozioni in Giappone, Gran Bretagna, Belgio, Canada, Francia e Germania. In Italia quasi un intervistato su due (46%) descrive molto/abbastanza positive le proprie sensazioni in merito alla possibilità di utilizzare le nuove tecnologie nella propria vita quotidiana, 4 punti in meno rispetto alla media internazionale pari al 50%. Inoltre, il sondaggio registra dei livelli di familiarità e di opinioni favorevoli in merito ai concetti di realtà virtuale, realtà aumentata e Metaverso molto più alti tra i giovani, chi ha un livello di istruzione elevato e gli uomini rispetto alle persone più anziane, chi non ha un livello di istruzione elevato e le donne.

Second Hand, gli affari si fanno online

E’ diventata la rete la piazza di scambio degli oggetti della categoria Second Hand, o più brutalmente di seconda mano. E no, non si tratta di oggetti di poco valore, e tantomeno di un business secondario: oggi questo comparto vale infatti 24 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil nazionale. E’ questo un dato, fra i tanti, contenuto l’ottava edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy condotto da Bva Doxa per Subito, piattaforma per vendere e comprare in modo sostenibile, che ha analizzato comportamenti e motivazioni degli italiani rispetto alla compravendita dell’usato.

Il business è in rete

Il volume degli affari online costituisce quasi il 50% del totale (49%) ed è passato da 5,4 miliardi di euro nel 2014 a 11,8 nel 2021, con una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno. È quindi proprio grazie all’online che il valore totale della second hand nel 2021 è tornato a livelli pre-pandemia (24 miliardi nel 2019, 23 nel 2020). La second hand cresce principalmente grazie al digitale perché offre un’esperienza d’acquisto sempre più simile a quella dell’’e-commerce, rispondendo alle mutate esigenze dei consumatori. L’online. infatti, costituisce quasi il 50% del volume d’affari totale, passando dai 5,4 miliardi di euro del 2014 agli 11,8 del 2021, con una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno. Ben il 69% di chi ha comprato e venduto oggetti usati, infatti, lo ha fatto attraverso questo canale perché più veloce (49%), offre una scelta più ampia (43%) e consente di fare tutto comodamente da casa (41%). Dal 2014 al 2021, cresce dal 30% al 70% il numero di chi si rivolge all’online per acquistare mentre chi vende passa dal 45% al 72% attestando una crescita sia in termini assoluti sia di frequenza.

Online supera offline

In particolare, nel 2021 l’online supera l’offline anche come canale più utilizzato per l’acquisto, mentre per la vendita era già assestato e in maniera cross target. La second hand non è una scelta occasionale o esperienza isolata. La frequenza della compravendita di usato continua a crescere insieme al numero di oggetti comprati e venduti. Dall’Osservatorio emerge che Il 72% di chi ha acquistato e il 69% di chi ha venduto lo fa almeno una volta ogni 6 mesi. Inoltre, il 72% di acquirenti e il 76% di venditori dichiara di avere comprato almeno lo stesso numero di oggetti dell’anno precedente, In pratica una volta scoperto questo mercato e sperimentata l’immediatezza e la facilità di utilizzo, fare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone (15% nel 2021).La second hand mantiene il terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%), con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 per Laureati (68%), Gen Z (66%), 35-44 anni (70%) e Famiglie con bambini (68%). 

In due anni al Sud -2,1% occupati

Secondo il dossier Il lavoro nel Mezzogiorno tra pandemia e fragilità strutturali, della Fondazione studi consulenti del lavoro, la pandemia ha reso il Sud ancora più debole sotto il profilo occupazionale. Il calo degli occupati, passati da 6.093mila del 2019 a 5.968mila del 2021, per una perdita di circa 125mila unità (-2,1%), è stato solo in parte attenuato dal boom del settore edile, l’unico a registrare un saldo positivo (+60mila occupati). Alla base della contrazione occupazionale del Sud ci sono le criticità di un’economia e di un sistema lavoro che non riescono a invertire la parabola discendente. Ma il dossier evidenzia anche la depressione dell’offerta di lavoro e il deterioramento della già bassa qualità dello stesso.

Il tasso di inattività sale al 46,2% nel 2021

Nel biennio 2019-2021 le persone in cerca di lavoro al Mezzogiorno sono diminuite di 129mila unità, -9,9% rispetto al -3,6% del Centro Nord. Il tasso di inattività tra la popolazione in età lavorativa è passato dal 45,4% del 2019 al 46,2% del 2021, collocandosi sopra il resto del Paese di 16,3 punti percentuali. La crisi, inoltre, ha evidenziato la precarizzazione dell’occupazione meridionale. Nel 2021, su 10 contratti attivati 4 risultano temporanei e part time (nel Centro Nord la percentuale è del 28,1%). Di contro, si è ridotta la quota delle assunzioni con contratti a tempo indeterminato, passata dal 32,1% del 2014 al 17,1% del 2021.

Aumentano le famiglie in difficoltà anche tra gli occupati

Ma un altro fattore è l’impoverimento del lavoro. Il calo degli stipendi, insieme alle difficoltà vissute dai lavoratori autonomi, durante la pandemia ha incrementato il numero di famiglie in situazioni di povertà anche tra gli occupati.  Al Sud, poi, diversamente dal resto d’Italia, si amplia il divario di genere. Nel biennio 2019-2021 le donne hanno registrato una perdita occupazionale (-2,7%) di gran lunga superiore a quella degli uomini (-1,7%), e in generale, il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno si attesta al 33%, -23,8% di quello maschile, e 25 punti sotto quello del Centro Nord.
Ma non è tutto: la questione giovanile nel Mezzogiorno è da anni una vera e propria emergenza nazionale.

Crescere il divario rispetto al resto del Paese

Alle ataviche criticità del contesto meridionale (scarsità di opportunità lavorative, precarietà del lavoro, calo demografico), si è aggiunto un diffuso atteggiamento di disaffezione e allontanamento dal lavoro. Tra il 2010 e il 2020 al Sud si è registrato un calo di quasi 400mila occupati tra i giovani con meno di 35 anni, soprattutto tra i giovanissimi di 15-24 anni.
“L’economia meridionale negli ultimi vent’anni ha visto crescere sempre più il proprio divario rispetto al resto del Paese – spiega Rosario De Luca, presidente di Fondazione Studi -. In tale contesto, qualsiasi politica occupazionale rischia di avere il fiato corto, in assenza di interventi che permettano un vero rilancio del Mezzogiorno”.