Casa: resta un pilastro della sicurezza ma i prezzi lievitano

Emerge dal 2° Rapporto Federproprietà-Censis, ‘La casa nonostante tutto’: gli italiani considerano la proprietà della casa in cui vivono un fattore di sicurezza e stabilità (83,2%). È espressione della propria identità e personalità (78,4%) ed è un investimento sicuro (69,1%), tanto che il 50,0% dei proprietari non venderà mai la propria abitazione per tramandarla in eredità a figli o nipoti.

Insomma, possedere una casa è ancora un pilastro della stabilità individuale e della coesione sociale, ma l’accesso alla proprietà è diventato più difficile.
Il 59,8% dei non proprietari afferma che il rialzo dei tassi di interesse ha reso più oneroso e complicato acquistare un’abitazione, mentre per il 35,9% dei proprietari con un mutuo il pagamento delle rate è più difficoltoso. Soprattutto al Centro (41,4%) e al Sud (37,2%).

Da fattore di agio a potenziale disagio

La gestione della casa si fa nel complesso più gravosa, e la sua proprietà rischia di trasformarsi da fattore di tutela in fattore critico.
Per il 75,5% degli italiani le spese relative alla casa pesano molto sul budget familiare (80% famiglie con redditi bassi e 57,6% più abbienti).

Nonostante il raffreddamento dei prezzi nel corso dell’anno, il comparto casa (abitazione, acqua, elettricità, gas) ha registrato le variazioni più elevate nel primo (+24,7%) e nel secondo trimestre 2023 (+14,0%), molto superiori al tasso di inflazione medio (+9,0% primo e +7,5% secondo trimestre).
Solo nel terzo trimestre il taglio ai costi di energia elettrica e gas ha riportato i costi della casa a un +4,2%.

Sì al green, ma serve il supporto dello Stato

Tra i requisiti fondamentali per l’acquisto di una casa il 64,6% degli italiani include la classe energetica. Riguardo la direttiva europea Casa green per l’efficientamento energetico delle abitazioni, il 73,3% degli italiani ne è a conoscenza.

Per il 51,1% è un atto positivo e il 40,1% lo apprezza, ma il 22,0% teme che possa tradursi in un ulteriore aggravio dei costi di gestione degli immobili, il 16,3% prevede che gli interventi non saranno economicamente sostenibili e il 10,7% è preoccupato per un eventuale crollo dei prezzi delle case.
È opinione unanime (90,2%) che gli interventi dei proprietari debbano essere accompagnati da aiuti economici dello Stato nella forma di detrazioni, incentivi, altre misure di sostegno.

Social e senior housing

Se la proprietà della casa è tra le aspirazioni top, c’è anche attenzione per soluzioni abitative nuove, come il social housing in locazione: Una soluzione temporanea, nell’attesa di poter acquistare una casa di proprietà (24,6%), un servizio abitativo attraverso il quale poter reperire un alloggio temporaneo (22,2%), e un’alternativa all’acquisto di una casa di proprietà (28,1%).

Molto più alto il consenso per il senior housing come soluzione abitativa riservata alle persone anziane.
Al 78,9% degli italiani piace, perché permette di affrontare la vecchiaia con serenità vivendo in un ambiente protetto (76,1%) e offre la possibilità di un accesso agevolato a servizi sanitari e socio-assistenziali (20,7%).

Anche a Natale 2023 non si rinuncia a viaggiare

Nonostante le difficoltà economiche dovute a rincari e inflazione la voglia di vacanza non si ferma. Ma come saranno le vacanze natalizie e invernali degli italiani? Risponde l’ultimo aggiornamento di Future4Tourism, l’indagine Ipsos che dal 2017 analizza ed esplora i trend del turismo nazionale e internazionale. E quest’anno il 20% delle persone intervistate dichiara di avere intenzione di concedersi un periodo fuori casa durante le festività natalizie, in aumento di 2 punti percentuali rispetto allo scorso anno. E oltre la metà, il 64%, prevede di fare almeno un periodo di vacanza tra gennaio e marzo 2024. 

Capodanno è sempre al centro del viaggio 

Inoltre, se circa otto persone su dieci durante le festività rimarranno in Italia, e per il 47% degli intervistati il Capodanno è la festività che si decide di includere prevalentemente nel proprio periodo di viaggio.

In aumento, poi, la quota di coloro che, pur facendo vacanze via da casa, non includeranno alcuna festività. Nel 2023 sono il 31%, +7 punti percentuali in confronto allo scorso anno.

Il 64% farà almeno una vacanza tra gennaio e marzo 2024

Il 64% degli italiani e delle italiane prevede di fare almeno un periodo di vacanza tra gennaio e marzo 2024, riportando la percentuale dei vacanzieri ai livelli pre-pandemia: a novembre 2019 la quota di viaggiatori invernali era infatti pari al 63%.

Tra chi ha già deciso la destinazione, l’Italia perde consensi rispetto al passato più recente, pur rimanendo saldamente al primo posto nelle scelte di viaggio per il 62% dei vacanzieri (+6 punti percentuali rispetto all’inverno 2023).
Si ricomincia a viaggiare principalmente verso le mete europee (25%) e accresce l’interesse per le crociere (4%).

Città d’arte, mare o montagna sugli sci?

Relativamente alla tipologia di vacanza, i viaggiatori si suddividono quasi equamente tra coloro che preferiscono vacanze in città d’arte, al mare e in montagna, lago, o collina.
Inoltre, nonostante si registri una ripresa delle visite culturali, queste restano ancora lontane dal periodo pre-pandemico (45% delle scelte vs il 35% attuale) favorendo le destinazioni di mare e montagna.

Ma l’inverno per molti italiani e italiane significa trascorrere giornate sulla neve. Tra chi ha deciso di concedersi un periodo di vacanze sugli sci il 20% non modificherà le proprie abitudini rispetto agli scorsi anni, ma il restante 80% si vedrà costretto ad adottare strategie di contenimento della spesa. Come? Scegliendo località con prezzi degli impianti di risalita più contenuti (31%), riducendo le giornate di sci (27%) fino alla completa rinuncia, almeno per quest’anno (22%).

Cresce il fatturato delle startup EdTech: +26% rispetto al 2021

Nel 2022 le aziende italiane hanno dedicato il 40% dell’intero budget della formazione a forme di digital learning, per una media di circa 480mila euro a organizzazione. Nelle università in media il 5,6% del budget di Ateneo nel 2023 è destinato alla trasformazione digitale, e circa 6 su 10 (57%) hanno aumentato gli investimenti rispetto all’anno precedente.
Insomma, cresce l’interesse da parte di aziende pubbliche, private, scuole e università verso le nuove tecnologie digitali a supporto dell’apprendimento.

Secondo l’Osservatorio EdTech della School of Management del Politecnico di Milano, in Italia il valore del mercato digital learning nel 2022 si attesta a circa 2,8 miliardi di euro (+26% vs 2021).
La maggior parte delle aziende del settore EdTech offre soluzioni software (75%) in ambito educativo, e i più grandi mercati di riferimento sono scuole (54%) e aziende (54%).

Il 40% del mercato globale riguarda scuole primarie e secondarie

Se le startup italiane del settore non sembrano aver sofferto del generale calo dei finanziamenti a livello globale, raddoppiando la raccolta complessiva di fondi nell’arco di dodici mesi, le previsioni per il 2023 a livello globale indicano che il fatturato delle aziende EdTech raggiungerà 142 miliardi di dollari (+15,4%).

In generale, il settore dovrebbe crescere con un tasso medio annuo del 13,6% fino al 2030.
Il 40% del mercato riguarda il segmento delle scuole primarie e secondarie, trainato dalla crescente adozione del digitale a supporto della didattica. La fetta più grande del fatturato appartiene ai prodotti hardware (41%), che predominano su soluzioni software e di contenuti.

I vantaggi delle soluzioni tech per la didattica

Il 97% delle scuole ha presentato una o più progetti negli ultimi 3 anni per la ricezione di finanziamenti volti a favorire l’innovazione tecnologica, in particolare, nell’ambito del PNRR. I vantaggi legati all’adozione di soluzioni digitali per la didattica riguardano maggior coinvolgimento degli studenti (78%), inclusione dei ragazzi più introversi o con bisogni particolari (68%) e aumento dell’efficacia (50%). Le tecnologie più diffuse sono software per creare mappe concettuali, indicate soprattutto per chi soffre di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (78%).

Il 72% delle università ha inserito la trasformazione digitale nel proprio piano strategico, e la maggior parte degli atenei offre una buona percentuale di corsi di studio in presenza supportati da strumenti digitali (96%).
Gli strumenti più innovativi maggiormente diffusi? Open badge (58%), sistemi di gamification (46%) e realtà virtuale e/o aumentata (31%).

La formazione nelle organizzazioni è digitale 

Benché la maggior parte del Top Management sia consapevole dell’importanza della formazione per il raggiungimento degli obiettivi strategici, solo il 35% delle organizzazioni integra formalmente i piani formativi nei piani strategici aziendali.

Oggi, il canale del digitale è quello più utilizzato per erogare contenuti formativi, e supera la tradizionale lezione d’aula.
Il digitale viene utilizzato principalmente a supporto della formazione obbligatoria, inclusi i temi legati alla sicurezza sul lavoro, e della formazione linguistica. E il trend di investimento in digitale da parte delle aziende per il 2023 è previsto in crescita del 4,9%.

Lavoro: a Natale le agenzie offrono oltre 35mila opportunità 

Sono oltre 35mila le opportunità offerte dalle agenzie per il lavoro nel bimestre novembre-dicembre 2023 su tutto il territorio nazionale. Tra le 30 figure professionali più ricercate in vista delle festività 2023 ci sono addetti alle vendite, promoter, visual merchandiser, magazzinieri, autisti e rider. E ancora, camerieri, aiuto cuoco, decoratori e animatori di eventi. Sono alcune 

A quanto emerge da una rilevazione effettuata da Assolavoro Datalab, l’Osservatorio dell’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro, su dati interni al settore e su fonti terze qualificate (Excelsior, Linkedin, Trovit, Indeed) accanto a figure legate a settori legati tipicamente allo shopping natalizio, come commercio al dettaglio e logistica, cresce la richiesta di profili professionali specializzati in allestimenti e animazione, e nelle attività legate alla ristorazione.

Vendita, logistica, allestimento/eventi e ristorazione i settori interessati

L’Osservatorio suddivide le 30 figure professionali in 3 categorie, le 10 professioni nella vendita e nei servizi collegati, le 10 professioni nel settore della gestione ordini, logistica e trasporti, e le 10 professioni relative ad allestimento, realizzazione eventi, attività ricettive e ristorazione.

Nella vendita e nei servizi collegati, in particolare, si rileva un elevato livello di richieste di commessi, anche digitali, di promoter, banconisti, scaffalisti e addetti al back office dei reparti. Mentre il settore della gestione degli ordini, logistica e trasporti, offre numerose opportunità soprattutto per addetti alla preparazione ordini, anche per e-commerce, addetti al picking, mulettisti, corrieri e fattorini.  

Cercasi barman, ma anche Babbo Natale

In vista del picco per le vacanze invernali si registra poi un boom di richieste anche per le professioni legate alle attività ricettive e alla ristorazione, quali barman, addetti alla caffetteria, e addetti di cucina.
Tra i profili richiesti nel periodo natalizio vi sono poi anche figure tecniche e artistiche specializzate in allestimenti, tra le quali decoratori, addetti alle luminarie e montatori di casette di Natale e stand.

Centri commerciali, catene di negozi e anche i singoli punti vendita ricercano poi personale che possa intrattenere grandi e bambini animando l’atmosfera natalizia con l’interpretazione del ruolo di Babbo Natale e di altri figuranti natalizi.

Contratti in somministrazione o a tempo determinato

Solitamente sono posizioni per le quali si richiede disponibilità a lavorare su turni e nei giorni festivi, flessibilità negli orari, e buona conoscenza di almeno una lingua straniera.

Si tratta per lo più di contratti di lavoro in somministrazione, ovvero con le tutele e la retribuzione tipica del lavoro dipendente e, per quelli a tempo determinato, con occasioni doppie di reimpiego allo scadere del rapporto di lavoro.

Da Google nuovo strumento per la privacy che trova i dati personali, e li nasconde

Il panorama digitale è vasto, e in costante evoluzione. Ma nonostante i numerosi vantaggi del digitale esistono anche rischi legati alla privacy dei propri dati personali. Chi non ha mai provato a cercare il proprio nome, l’indirizzo o il numero di telefono su Google?
Chi lo ha fatto sa bene quante informazioni personali possono emergere dai risultati di ricerca. Informazioni che magari non si vorrebbero rendere pubbliche, e Google, che detiene circa l’83% del mercato delle ricerche, ha sviluppato una funzione per aiutare gli utenti a scovare e proteggere le proprie informazioni private pubblicate sul web. 

Una funzione utile a combattere il doxxing

La funzione di Google offre uno strumento per gestire e controllare la visibilità delle proprie informazioni. In sostanza, si tratta di un nuovo strumento per la privacy che scansiona la presenza dei nostri dati sensibili pubblicati sul web.

Questa funzione ricerca attivamente dettagli specifici dell’utente, come numeri di telefono, indirizzi e-mail e indirizzi di casa.
Quando tali dati vengono identificati, Google avvisa l’utente permettendogli di prendere le misure necessarie per proteggere tali informazioni dalla visibilità pubblica.
Tutto questo rappresenta un passo nella direzione giusta, ovvero quella di proteggere la privacy degli utenti e combattere il cosiddetto doxxing, la pratica di cercare e diffondere online informazioni private.

I dati non vengono eliminati, ma non appaiano nei risultati di ricerca

Sfruttando questa funzione gli utenti possono quindi godere dei vantaggi dell’era digitale, mantenendo al contempo un certo grado di privacy e sicurezza. 
È fondamentale sottolineare che questa funzione di Google non elimina i dati personali dal web. Ciò che fa è impedire che queste informazioni appaiano nei risultati di ricerca di Google, rendendo notevolmente più difficile per chiunque trovarli.
La distinzione è cruciale: i dati restano online, ma la loro visibilità e accessibilità sono fortemente ridotte.

Alert e notifiche avvisano quando compaiono nuove informazioni “su di te”

Tramite una semplice opzione sulla pagina del proprio account Google, dove si possono controllare tutte le volte in cui un’informazione personale compare fra i risultati di ricerca, il motore di ricerca avvisa se le proprie informazioni personali sono state trovate, oppure invia una notifica da un alert quando compare un nuovo risultato.
La scelta di rimuoverle o meno resta appannaggio dell’utente, riporta Adnkronos. Se si desidera apportare modifiche in futuro è sempre possibile tornare alla pagina ‘Risultati su di te’ (Results about you) e fare le modifiche necessarie. 
Attualmente la funzione è disponibile solo negli USA, ma dovrebbe arrivare presto anche in Italia.

Challenge social, perchè è un fenomeno pericoloso per i ragazzi?

La Generazione Z, nata con uno smartphone in mano, è esposta a challenge social che possono rivelarsi anche molto pericolose. Sfide folli che arrivano da tutto il mondo, dato che la tecnologia non ha confini di connessioni. Tuttavia, ai giovani spesso mancano gli strumenti per gestire appieno questi mezzi così potenti. I ragazzi sono ancora in fase di sviluppo fisico e psicologico, il che li rende vulnerabili.
Tra le challenge più diffuse ra la Generazione Z, ci sono quelle legate al cibo.

La moda della Hot Chip Challenge

Una di queste sfide è la “Hot Chip Challenge,” consistente nel mangiare una patatina estremamente piccante senza bere o cercare di lenire il dolore. Questa gara folle ha provocato malori ed è accessibile anche ai minori, in quanto i prodotti vengono venduti online in confezioni a forma di bara. Uno studio condotto ha rivelato che circa il 6,1% degli studenti italiani tra gli 11 e i 17 anni ha partecipato almeno una volta a sfide sociali.
“Prove” legate al cibo sono particolarmente diffuse, spesso importate da altri paesi, grazie alla forte influenza della globalizzazione. Il cibo è un oggetto di sfida comune poiché è facilmente accessibile. Inizialmente, questi ragazzi potrebbero partecipare alle sfide per divertimento, sottovalutando i rischi associati.

Il pericolo dipendenza

Anche se le challenge in sé non costituiscono una dipendenza, sono pericolose e correlate all’uso distorto dei dispositivi mobili e dei social media. I giovani a rischio di dipendenza sono più inclini a partecipare a queste sfide. Tali comportamenti possono portare a problemi di ritiro sociale e dipendenza da social media o videogiochi.

Le sfide sono più comuni tra gli 11-13enni, mentre diventano meno frequenti nella fascia 14-17. I giovani sono influenzati dai loro coetanei, e questo può sfuggire al controllo dei genitori.
L’Italia mostra una maggiore prevalenza di problemi legati alle dipendenze e alle sfide sociali nelle regioni meridionali e insulari. È importante notare che i ragazzi di queste fasce d’età non sono completamente consapevoli dei rischi e che il cervello non è ancora completamente sviluppato.

Cosa può fare la famiglia

I genitori sono invitati a monitorare l’uso dei dispositivi mobili da parte dei propri figli e a limitare il tempo trascorso online, poiché la quantità di tempo è proporzionale al rischio. È essenziale instaurare una comunicazione aperta con i giovani per rilevare eventuali segnali di pericolo.
La prevenzione dell’uso distorto dei dispositivi digitali è cruciale, poiché il pericolo è reale, e l’educazione sull’uso responsabile dei dispositivi è fondamentale.

Customer Experience: nel B2b: poche imprese con approccio maturo

Solo l’8% delle aziende in Italia ha un approccio ‘maturo’ nei confronti della customer experience, ovvero, sfrutta appieno i vantaggi di una relazione personalizzata e collaborativa con i clienti.
Di fatto, nonostante circa un terzo di grandi aziende e Pmi operanti nel B2b affermi di adottare un approccio ‘cliente-centrico’ solo una piccola percentuale ha realizzato una completa trasformazione in questo senso.

È quanto emerge da una ricerca dell’Osservatorio Customer Experience nel B2b della School of Management del Politecnico di Milano.
“Oggi i clienti non si accontentano più di semplici transazioni commerciali – spiega Sara Zagaria, direttrice dell’Osservatorio – ma cercano relazioni personalizzate, un coinvolgimento omnicanale nel processo di acquisto e un servizio clienti tempestivo e di alta qualità”.

Cliente-centrico vs prodotto-centrico

L’approccio aziendale ‘cliente-centrico’, contrapposto a quello ‘prodotto-centrico’, ha le sue radici nell’ascolto attento dei clienti all’interno della catena del valore. 
In questo senso, se il 14% delle aziende può essere definito ‘promettente’ quasi la metà si trova ancora in fase embrionale rispetto a questa trasformazione. Il 26% è ‘immaturo’, non dispone né di una visione chiara né di strumenti organizzativi e tecnologici adeguati, e il 23% sta compiendo i primi passi grazie all’adozione di alcune attività preliminari.

Tra le filiere all’avanguardia si distinguono quella Finanziaria e del Terziario Avanzato, mentre la filiera agroalimentare si muove a due velocità, mantenendo un approccio tradizionale con clienti e intermediari commerciali nel 32% dei casi (19% ‘promettenti)’.

Ancora scarsa la dotazione tecnologica

Per un modello ‘cliente centrico’ serve un’opportuna dotazione tecnologica di piattaforme e strumenti in grado di valorizzare gli scambi informativi. Le imprese B2b mostrano però ancora immaturità nella raccolta e nell’integrazione di queste informazioni.
Nessuna azienda è pienamente matura dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica, e per più della metà questa non è adeguata a una prospettiva cliente-centrica.

Strumenti come il CRM sono presenti solo nel 34% delle imprese, e manca una capacità avanzata di analisi dei dati. Quasi un terzo delle aziende non effettua alcun tipo di analisi dei dati sui clienti, e il 57% si limita ad analisi di tipo descrittivo.
Il 52%, poi, utilizza esclusivamente tool di base, come Excel, che non permettono una condivisione efficace e tempestiva delle informazioni.

Il 69% delle aziende non ha una funzione responsabile

“Una strategia che sia orientata al cliente richiede prima di tutto un’organizzazione ad hoc, che coinvolga tutti gli attori e i processi nella relazione, con iniziative o strumenti declinati per ciascuna realtà – commenta Paola Olivares, co direttrice dell’Osservatorio – eppure, nel 69% delle aziende manca una funzione responsabile dei progetti di customer experience, e quando esiste, raramente riporta all’Amministratore Delegato. Solo il 17% delle aziende valuta positivamente la collaborazione tra le funzioni aziendali. Parallelamente occorre stabilire una relazione collaborativa con il cliente, basata su un dialogo costante e sul supporto reciproco, ma solo il 24% delle aziende si riconosce in questo approccio”.

Cari animali domestici: quanto costa mantenerli?  

Dal cibo al veterinario fino alle assicurazioni e agli accessori, ogni anno per mantenere un cane servono in media quasi 600 euro, e poco meno di 390 euro per un gatto.
Insomma, il caro vita colpisce anche gli animali domestici. E se si considera che in Italia una famiglia possiede, in media, due animali, emerge come il mantenimento dei pet sia una spesa importante all’interno del budget famigliare. Si va infatti dai 780 euro ai 1.200 euro in base alla tipologia di amico a quattro zampe posseduto. Lo ha scoperto l’indagine commissionata da Facile.it all’istituto di ricerca EMG Different.

Rincari maggiori per il cibo


Il 59% di chi possiede un cane o un gatto (oltre 11 milioni di individui) ammette di aver riscontrato nell’ultimo anno rincari nei costi di mantenimento dell’animale. A registrare gli incrementi maggiori la spesa destinata al cibo: quasi 9 proprietari su 10 (89%) dichiarano che il prezzo degli alimenti è quello aumentato di più, seguito dai costi del veterinario, rincarati per più delle metà degli intervistati (51%). Quanto al tipo di animale posseduto, tra i proprietari di Micio quasi 2 su 3 (64% vs 58% tra chi possiede Fido) dichiarano di aver dovuto far fronte a rincari.

Il 91% di chi ha fronteggiato rialzi per almeno un amico felino si lamenta soprattutto dell’aumento del cibo (vs 86% possessori di cani), mentre tra chi possiede un cane l’incremento maggiore è individuato nelle spese veterinarie (55% vs 49% per i proprietari di un gatto).

Assicurazioni a misura di pet

Se per i rincari delle spese alimentari non si può fare molto, è bene sapere che i costi di quelle veterinarie possono essere alleggeriti grazie alla sottoscrizione di una polizza specifica per gli amici a quattro zampe.
Sebbene i prodotti sul mercato siano molto diversificati in base alle garanzie comprese, secondo le simulazioni di Facile.it, è possibile trovare assicurazioni che includono responsabilità civile, rimborso delle spese veterinarie e tutela legale, con tariffe che partono da circa di 10 euro al mese per un’offerta base e che possono arrivare fino a quasi 20 euro per una copertura con massimali più elevati.

Solo il 29% dei proprietari ha sottoscritto una polizza

Ma su un totale di oltre 18,8 milioni di italiani che possiedono uno o più animali domestici solo il 29% dei proprietari (quasi 5,5 milioni) ha sottoscritto una copertura assicurativa. Nel caso di Fido, il 36%, e il 17% per Micio.
Il dato preoccupante è scoprire come il 7% di chi possiede un animale (1,3 milioni di italiani) non sia neanche a conoscenza dell’esistenza di polizze specifiche, mentre il 14% è intenzionato a stipularne una nel prossimo futuro.

Bonus colonnine elettriche: cosa cambia nel 2023?

Il bonus colonnine elettriche 2023 è un contributo erogato dal Ministero dello Sviluppo economico con Dpcm del 4 agosto 2022. Il Ministero ha destinato al contributo un fondo pari a 40 milioni di euro.
Rispetto al primo bonus voluto dal Ministero nel 2019 il nuovo decreto ha apportato alcune modifiche. In particolare, il rimborso del costo sostenuto ora passa dal 50% all’80%, e non si tratta più di una detrazione fiscale, ma di un contributo immediato. Inoltre, se in precedenza il bonus colonnine elettriche era rivolto alle sole imprese oggi si rivolge anche a cittadini privati e condomini.

Oggi possono richiederlo anche cittadini privati e condomini

Il nuovo bonus colonnine 2023 può essere infatti richiesto dalle seguenti categorie: privati che desiderano installare le colonnine di ricarica di veicoli elettrici nella propria abitazione e condomini che scelgono di installare gli impianti di ricarica di veicoli elettrici negli spazi comuni. Non solo. Nel caso in cui il cittadino non si trovi in condizione di richiedere il bonus, la domanda può essere inoltrata anche dai condominiche decidono di provvedere all’installazione dei dispositivi di ricarica negli spazi comuni. Il valore di ogni colonnina per la ricarica è in media di 1.330 euro, quindi il contributo medio sarà di circa 1000 euro. Il privato riuscirà dunque a pagare solo una cifra di 300 euro per una colonnina.

Qual è il limite di contributo erogabile?

Per fare un esempio pratico, nel caso di un condominio che installa circa 5 colonnine per un valore di circa 6.500 euro il suo ritorno economico potrebbe essere di oltre 5.000 euro. Il contributo massimo varia se la richiesta di installazione della colonna di ricarica arriva da privato o da condominio. Per l’installazione presso un’abitazione privata il contributo massimo è di 1.500 euro, mentre se è nelle parti comuni di un edificio condominiale il contributo massimo è di 8.000 euro.

Come richiederlo?

Rientrano nelle spese recuperabili nel caso di installazione di colonnine elettriche in casa privata o condominio, nella cifra dell’80%, l’acquisto delle colonnine, la posa delle colonnine e la messa in opera delle stesse, riporta Immobiliare.it. Il contributo rimarrà valido non solo per l’anno in corso ma anche per il 2024 fino a esaurimento fondi. Sarà quindi valido per tutto il periodo 2023-2024, si potrà richiedere sulla piattaforma del Mise, non ancora attiva, e sarà erogato sotto forma di rimborso delle spese già sostenute e documentate.

Autunno, stangata in arrivo?

Pare che gli italiani dovranno affrontare un’autunno caratterizzato da un incremento significativo delle spese, con un impatto previsto di circa 1.600 euro per ogni famiglia. L’allerta è stata lanciata da Assoutenti, associazione che monitora e protegge i diritti dei consumatori, alla luce dell’attuale aumento dell’inflazione e dei prezzi dei carburanti. L’associazione ha aggiornato le stime sulle spese che le famiglie dovranno affrontare da settembre fino alla fine dell’anno, prendendo in considerazione diversi fattori come bollette, cibo, spese scolastiche, mutui, carburante e ristorazione.

Gli alimentari? Costano il 10% in più

Attualmente, il costo complessivo dei prodotti alimentari è aumentato del 10,1% rispetto all’anno precedente. Questo trend, se dovesse persistere nei prossimi mesi, comporterebbe un aumento delle spese alimentari per una famiglia “media” di circa 190 euro durante il periodo settembre-dicembre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Costa anche la scuola

Con la riapertura delle scuole è atteso un aumento delle spese legate all’acquisto di materiale scolastico. I prodotti di cancelleria hanno registrato un aumento del 9% su base annua a causa dell’incremento dei costi delle materie prime e della produzione. Questo significa che una famiglia che deve acquistare tutto il materiale scolastico per il proprio figlio vedrà un aumento di circa 50 euro rispetto al 2022, senza contare gli aumenti dei costi dei libri di testo, che variano da 300 euro per la prima media a 600 euro per il liceo, compresi i dizionari. Questi aumenti variano dal 4% al 12%, con una spesa media aggiuntiva di circa 45 euro per i libri di testo, portando l’incremento totale per la voce “scuola” a circa 95 euro per studente.

Benzina e bollette alle stelle

Anche il costo del carburante è aumentato, con un litro di benzina che costa in media 1,947 euro, rispetto a 1,679 euro durante lo stesso periodo dell’anno scorso. Se i prezzi rimanessero ai livelli attuali, la spesa per il carburante, considerando due pieni al mese per famiglia, aumenterebbe di 107 euro nel quarto trimestre rispetto allo stesso periodo del 2022. Inoltre, le bollette energetiche sono destinate a salire, con previsioni che suggeriscono un aumento delle tariffe elettriche tra il 7% e il 10% nel prossimo trimestre. Questo comporterebbe un aumento della spesa energetica di circa 16,1 euro a famiglia solo nell’ultimo trimestre dell’anno.

E i mutui?

Per quanto riguarda i mutui, i tassi di interesse dovrebbero aumentare ulteriormente a settembre, ottobre e dicembre, il che comporterebbe un aumento significativo delle rate mensili dei mutui a tasso variabile. Questo significa che un mutuo medio di 125.000 euro a 25 anni costerebbe circa il 60% in più rispetto all’inizio del 2022, con un aumento mensile di circa 270 euro. Se i tassi venissero aumentati dello 0,25% in tutte e tre le riunioni della Banca Centrale Europea, le spese mensili dei mutui nel periodo settembre-dicembre sarebbero maggiori di circa 1.170 euro rispetto al 2022. Infine, anche i ristoranti e i bar subiranno aumenti di prezzi, con un costo aggiuntivo stimato di circa 28 euro a famiglia nei prossimi 4 mesi.